DALLA SOLITUDINE ALLA CONDIVISIONE. LA CURA EFFICACE ALLE NOSTRE PAURE. A cura di Monica Rebuffo

Se vogliamo comprendere il motivo secondo il quale, alcune persone si riferiscono alla solitudine come a uno stato di grazia, mentre altre la percepiscono come uno stato di malessere, dobbiamo conoscere il diverso percorso di queste due generiche categorie di persone.  Possiamo dire che esistono due diversi tipi di solitudine.

La solitudine bella, intesa come la sensazione di essere soli, ma non sentirsi soli, perché ci si percepisce in compagnia di sé stessi. Accade quando crescendo impariamo a prenderci cura di noi, anche attraverso la riflessione e il dialogo. Questo ci consente di affrancarci dall’impulsività e dall’idealismo dell’adolescenza e di entrare a pieno titolo imperfetto, nel mondo degli adulti.

La solitudine brutta, intesa come isolamento sociale, nel quale siamo soli e ci sentiamo soli. È una condizione di abbandono, di malessere che può predisporre ad alcune patologie e che colpisce le persone vulnerabili (anziani, malati, separati, lutti) che riescono meno di altre, a rispondere agli eventi avversi della vita.

Il sintomo principale di questo malessere è rappresentato dalla TRASCURATEZZA, intesa come incapacità di ascoltare, dialogare e prendersi cura di sé. 

Perché accade questo?

Quando facciamo fatica ad affrontare e dare un significato ai conflitti irrisolti, alle paure, alle rabbie, alle frustrazioni della nostra vita, tutto questo materiale emotivo non digerito, rimane imprigionato dentro di noi e ci condiziona. Pertanto, metterci in ascolto, significa ricollegarci ai dolori e ai problemi che non siamo stati capaci, né di accettare, né di lasciare andare. Ecco che paradossalmente ci tuteliamo non ascoltandoci. Purtroppo, questa finta terapia, ci fa allontanare sempre di più da noi stessi, versandoci in uno stato di isolamento e di insicurezza.

Madre Teresa di Calcutta, ci ricordava come il vero disagio dell’occidente non fosse la peste, la lebbra o la tubercolosi, ma l’incapacità di sentirsi amati, valorizzati, apprezzati e connessi con sé stessi e con gli altri.

È proprio in questa incapacità che si gioca la partita tra la solitudine bella, che ci permette di crescere, di affrontare i problemi e di maturare le nostre parti adulte, coltivando la salute fisica e mentale e la solitudine brutta, che ci fa ammalare nel corpo e nella mente.

Per colmare questa incapacità, dovremmo riuscire ad abbandonare il nostro isolamento, chiedendo ascolto ed accoglienza. Ma affinché questa richiesta di aiuto sia fruttuosa, è fondamentale che sia impregnata di empatia, comprensione e disponibilità, da parte di chi fornisce questo soccorso.

Ecco che la condivisione diventa la strada per superare la solitudine, ma solo ed esclusivamente se la persona in difficoltà è in una apertura capace di ricevere e di lasciarsi aiutare e se chi aiuta ha un atteggiamento di autentico bene e interesse per l’altro.

Seguendo l’insegnamento della vita, comprendiamo come l’amore sia l’unica risposta alla solitudine. L’amore gratuito di chi dona e l’amore di gratitudine di chi riceve. Sono ambedue competenze che se esercitate, allenano entrambe le parti alla crescita. Chi dona ha la stessa dignità di chi riceve, ma un diverso percorso. L’uno aiuta l’altro a migliorarsi e a crescere. Ognuno secondo la propria vocazione e secondo il proprio cammino di vita, rispetto al quale non siamo chiamati a giudicare, ma a fare la nostra parte di amore.