I capricci dei bambini. Leggerli e gestirli

I capricci
leggerli e gestirli

Ad uno sguardo superficiale, il capriccio appare come un atteggiamento bizzarro, irragionevole e spesso illogico del bambino. Rappresenta la manifestazione della non accettazione del volere di un adulto o di un coetaneo, poiché tale richiesta va in direzione opposta alla sua.
Un bambino capriccioso diventa un bambino ingombrante, rumoroso, che spesso ostacola con la propria opposizione bizzarra e ostinata il fluire della vita dell’adulto.
Un bambino capriccioso però, può manifestare il proprio ingombro anche attraverso il silenzio, il non ascolto e la fermezza delle proprie posizioni.

Se facciamo lo sforzo di ascoltare più profondamente il bambino, ci accorgeremo che ogni capriccio è un comportamento che viene attivato da un bisogno specifico e il modo più utile e funzionale all’eliminazione di questo atteggiamento, sia per il bambino, che per il genitore, sta nel comprendere e facilitare questo bisogno che sta alla base.

Possiamo provare a raggruppare in tre grandi categorie le motivazioni e i bisogni che attivano singoli comportamenti o strutturano abituali atteggiamenti dei bambini.

1.Il naturale passaggio per giungere all’accettazione di una frustrazione
Quanti genitori hanno sofferto, ai giardini o al supermercato, quando il loro angioletto si rotolava per terra, urlando sotto lo sguardo pieno di riprovazione degli altri.
Eppure la collera è una reazione naturale e sana di fronte alla frustrazione. Quando un bambino si adira perchè non può avere qualcosa, la sua emozione gli permette di ritrovare il suo equilibrio e di accettare la frustrazione.
A volte, noi genitori ci sentiamo esasperati, quando abbiamo spiegato ai nostri figli, che una certa cosa è assolutamente impossibile, ma loro si arrabbiano ugualmente.
Le tappe che consentono al bambino di giungere all’accettazione di una frustrazione sono:
1. la negazione
2. la collera ….. quella che noi chiamiamo CAPRICCIO
3. la contrattazione
4. la tristezza
5. l’accettazione
L’accettazione della frustrazione, passa attraverso la collera.
La frustrazione, se è moderata, è costruttiva. Fortunatamente, è impossibile soddisfare sempre un figlio. Può accadere che i negozi siano chiusi, che non si abbiano più gelati nel congelatore, che la mamma esca di casa per andare al lavoro, che l’amico sia dai nonni, …..
Una certa dose di frustrazione è inevitabile ed è anche utile, a condizione che le emozioni, e in particolare la collera del bambino, vengano capite.
Al contrario una frustrazione ingiusta, arbitraria o troppo grande può invece rivelarsi distruttiva.
La sequenza che deve riprodursi più frequentemente affinchè un bambino si senta amato è:
bisogno – richiesta – soddisfazione

Quando le sue richieste non possono essere soddisfatte, allora è fondamentale che venga sempre capita la sua collera.
La collera è un qualcosa di sano e positivo, è l’affermazione di sè dinnanzi all’altro; è la precisazione dei confini da non oltrepassare; è il rifiuto di ciò che fa soffrire. Dato che non sappiamo gestire la collera, scivoliamo spesso nella violenza. La violenza, è molto diversa dalla collera, perchè si rivolge contro l’altro. Perchè accusa, cerca di ferire e di distruggere.
Pertanto, la collera è uno strumento per gestire la frustrazione e non deve essere eliminata, ma vissuta e superata.
Esistono dunque collere sane, non violente, costruttive e collere eccessive, violente, distruttrici. Le prime devono essere ascoltate, le seconde decifrate. Tutte devono essere rispettate, poichè tutte indicano un bisogno.
Quando l’aggressività sembra gratuita e senza scopo, lo scopo deve essere cercato un pò più lontano.
Quando gli attacchi di collera sono numerosi o eccessivi, si tratta:
 di un accumulo di tensioni
 di una collera che ha per oggetto qualcos’altro
 dell’espressione di una collera inconscia o inespressa di un genitore
 di un’altra emozione (paura, tristezza) camuffata sotto forma di collera, perchè l’espressione dell’emozione autentica è impossibile o vietata.
La risposta più funzionale alla manifestazione di un momento di collera la troviamo: nell’ascolto, nel rispetto e nell’empatia.

2.La manifestazione di un disagio
Il disagio, può essere definito come un fastidio, un imbarazzo, una scomodità, una molestia, un bisogno, una privazione.
Quindi, una persona a disagio, è certamente una persona che attiva una serie di difese, per comunicare la sua fatica, e al tempo stesso, ritrovare il suo equilibrio, e la sua serenità.
Quindi, è una persona che, speso inconsapevolmente, attiva una serie di comportamenti fastidiosi, per attirare l’attenzione su di sé, e paradossalmente, chiedere aiuto, per dare risposta ai suoi bisogni o alle sue paure.

3.La fatica a gestire la frustrazione
La frustrazione, rappresenta nell’immaginario collettivo, qualcosa a cui sfuggire, quasi il simbolo di scelte e investimenti sbagliati o inopportuni. Una persona frustrata, non è felice perché non si sente realizzata, nè appagata.
In realtà nella vita di tutti i giorni, ognuno di noi si imbatte frequentemente in limiti esterni o interni, che gli impediscono di raggiungere obiettivi, mete o semplicemente di portare a temine azioni del quotidiano.
La reazione emotiva a questa esperienza, è la FRUSTRAZIONE.
La frustrazione non è necessariamente uno stato della persona, e può diventare un’indicazione di percorso. A volte, può indicare la necessità di imparare a tollerare un certo tempo, prima di ottenere risposte o successi; altre volte, può essere espressione di obiettivi o mete non raggiunte, a causa di nostri limiti interni (fragilità, valutazioni sbagliate) o esterni (sfortuna, impedimenti fisici, ecc.).
Quindi, parlando dei nostri figli, diventa importante: allenarli ad accettare la frustrazione e a crescere su tali impedimenti, sfruttando le occasioni che la vita ci propone. Senza drammatizzare!
In un certo senso, la frustrazione è indispensabile per farci crescere. Crescere nella vita, ma crescere anche nelle nostre capacità e nell’acquisizione di nuove competenze.
Solo se diventiamo, giorno per giorno, sempre più capaci di sopportare un po’ di fastidio o fatica, rispetto alle cose che ci va di imparare, riusciremo ad apprenderle e a migliorarci sempre più.

Se non avessi sopportato la fatica e il fastidio di cadere,
non avrei mai imparato ad andare in bicicletta.

Se non avessi sopportato la fatica e il fastidio di andare 3 volte la settimana per due ore in bicicletta,
non sarei diventato corridore junior.

Se non avessi sopportato la fatica e il fastidio di perdere qualche gara, non sarei mai diventato anche vincente.